Marco Aurelio nato il 26 aprile 121d.c. è ricordato per aver saputo rafforzare l’impero e per i suoi scritti.

“Ognuno vale quanto le cose a cui da importanza”.

“A se stesso “ è un ricordo intimo e privato, vibrante strumento di introspezione e analisi, lapidario nel suo modo di filosofeggiare e rimane un’insieme di aforismi e massime morali, un vero diario. Non si riesce a dare una definizione unica per la complessità di quest'opera unica nel suo genere. Scritto finito alla luce di un’esperienza consolidata di una vita da parte dell'imperatore Marco Aurelio. Ci è pervenuta la sedimentazione dei suoi sentimenti e l'immagine più sincera della sua straordinaria intensità religiosa e morale.

“Ricordati che è segno di libertà poter mutare opinione e tener dietro a chi te ne fa opportuno avvertimento. Tua infatti è l’azione che si vien compiendo sotto l’impulso della volontà, del giudizio e del calcolo della mente”.
Memorie, Libro VIII.

Marco Aurelio è l’effige del Comune di Roma in quanto Marco istituì l’Anagrafe. Da questo momento in poi venne rivoluzionata l’idea del diritto: il cittadino romano aveva l'obbligo di registrare i propri figli entro trenta giorni dalla loro nascita; colpì l'usura; regolarizzò le vendite pubbliche e distrusse tutti i libelli diffamatori che circolavano su molte persone; fui il primo a proibire i processi pubblici prima che fossero raccolte prove certe; garantì ai senatori l'antica immunità dalle condanne capitali, a meno che ci fossero prove certe e una condanna ufficiale.

Non vennero costruite opere sontuose e imponenti durante il suo impero, ma ricostruzioni necessarie, sviluppando e migliorando la rete stradale, da sempre perno della difesa dell'impero, del progresso del commercio, fortezze e tende militari e città.

Non gradiva i giochi gladiatorii e gli spettacoli sanguinolenti del circo, ma per il piacere del popolo gli indiceva e li frequentava per mantenere le relazioni pubbliche. Istituì le unità militari ausiliarie di gladiatori per sostenere le legioni del nord, ma dovette richiamarle malgrado fossero necessarie ai fini strategici per mantenere alto l’umore del popolo romano che soffriva di varie pestilenze tra queste forse si presume secondo le fonti anche il vaiolo. Nella sola Capitale morivano duemila persone al giorno e le vittime totali superarono i cinque milioni. La famiglia di Marco Aurelio fu falcidiata, come pure i suoi migliori condottieri. Era il periodo dei Quadi e Marcomanni, che davano filo da torcere nell’area danubiana. Marco Aurelio dovette riprendere la spada e il cavallo e partire di nuovo in guerra e a tralasciare così a malincuore la sua attività di legislatore, giurista, filosofo.

Non riuscì a realizzare i suoi ideali stoici di eguaglianza e libertà. La classe burocratica che si venne a formare e radicare nel controllare le finanze locali volle arrogarsi diritti e privilegi tali da costituirsi classe chiusa.

Gli schiavi alla fine dell'età repubblicana e all'inizio dell'età imperiale beneficiarono della filosofia dello stoicismo praticato da Marco Aurelio, che affermava il principio della libertà naturale di ogni uomo. Una nuova mentalità si diffuse nel mondo intellettuale romano e contribuì ad alleviare le condizioni di vita degli uomini privi di diritti.

Ebbe una vita marziale, un fisico non molto prestante, e dopo un’esistenza sacrificata anche dalle varie epidemie il 17 marzo del 180 affrontò coraggiosamente la morte, come fece in ogni altra occasione della sua vita.

“Quando si muore, vecchi o giovani che si sia, si perde tutti la stessa cosa: il presente, la vita che si sta vivendo in quel preciso istante. Nessuno infatti perderà mai altro, né il passato né il futuro, per il semplice fatto che nessuno può perdere ciò che non ha. Perciò non c’è alcuna differenza tra chi muore carico d’anni e chi muore giovane”.

 

di Valentina Ughetto

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