Quando mi è stato chiesto di dire qualcosa in merito all’opera del maestro Ishida la prima cosa che mi è venuta in mente è stato il pensiero di quanto l’artista incarni perfettamente lo spirito dell’arte giapponese sia per la tecnica usata, sia per i contenuti, sia per la filosofia che si cela dietro alla sua arte. Non si può non notare come le opere del maestro siano piene di vita e di angoscia allo stesso tempo: i corpi si ammassano, i volti si deformano, i soggetti sono allo stesso tempo sia fortemente carnali sia incredibilmente disincarnati. Tuttavia soffermarsi un attimo sulla cifra propriamente nipponica del suo lavoro credo possa aiutare a calarsi nelle sue creazioni. Proprio per questo motivo, lungi dal voler risultare prosaico, vorrei però toccare brevemente alcuni punti che secondo me sono importanti per comprendere meglio l’artista e la sua opera, e per far ciò non possiamo non calarci per qualche istante nella visione del mondo estremo orientale.

Innanzitutto, bisognerà ricordare che per l’uomo estremo orientale la natura non è semplicemente uno scenario in cui si è immersi e con cui si interagisce in un rapporto asimmetrico in cui l’uomo è al centro del mondo. In Estremo Oriente l’uomo è parte integrante della natura e condivide con essa fin nelle sue intime fibre “medesimezza ed essenza di struttura organica”, per rubare le parole della studiosa Maria Teresa Lucidi. Tutti gli artisti del mondo estremorientale hanno dipinto la natura non essendovi semplicemente immersi, ma essendo “uno con” la natura. Il rapporto stesso con i materiali usati, principalmente carta, inchiostro e pennello, è viscerale, totale, soprattutto nella pittura colta e spirituale per eccellenza che per la cultura orientale è la pittura monocroma. Gli artisti sono un tutt’uno con i propri strumenti di lavoro, ma non in una romantica, occidentale, non ben definita volontà di fusione, essi si riconoscono in una sorta di continuum organico con essi, per questo il maestro Ishida rappresenta a pieno la cultura del suo paese nel rapporto che oserei chiamare carnale con il materiale pittorico, ma anche fotografico ed elettronico perché oggi la nostra quotidianità è anche fatta di queste realtà. La carta che egli stesso forgia con tempi lunghissimi partendo dalla materia prima, ovvero dalla pianta stessa da cui poi darà luce dei preziosissimi fogli di lavoro, rappresenta a pieno la necessità di connubio con i materiali,  vivi strumenti di creazione, e rappresenta una delle cifre peculiari dello spirito artistico giapponese.

Esiste un termine giapponese, il KI, importato dal cinese CHI (anticamente le due culture si assomigliavano molto di più rispetto ai giorni nostri) il cui ideogramma (氣) simboleggia il vapore che fuoriesce dalla cottura del riso proprio a significare degli elementi che armonizzati tra loro, in questo caso l’acqua, il fuoco di cottura e il riso, producono qualcosa che si muove, che ha una sua forma di vita, il vapore appunto. Questa parola si può tradurre come “energia-materia” ovvero quella forza vitale che permea tutta la natura e gli esseri viventi. Dopo anni di duro lavoro su sé stesso attraverso la tecnica, in un’abnegazione che ricorda quasi il percorso di un religioso – e vorrei sottolineare che molti pittori tradizionali giapponesi non a caso erano anche e soprattutto monaci – se un artista lascia scorrere armonicamente e fluidamente questa energia, egli diviene una cosa sola con il proprio pennello o con i propri strumenti di lavoro e trasferisce all’opera che sta creando la vita. Questo distingue un grande artista da un artista mediocre: la vibrante percezione di vita che trasuda dai suoi lavori. Ancora una volta, benché con soggetti e scenari completamente diversi, ecco che l’opera del maestro Ishida si pone come esempio di questo prender vita delle cose del mondo, il loro vibrare, spesso il loro gridare.

Tuttavia Ishida è anche un’artista profondamente, direi sconcertantemente contemporaneo. L’ammassarsi quasi macabro dei corpi, l’angoscia mista a ironia grottesca che trasudano dalle sue opere (ironia che affonda anch’essa in parte le sue radici in una consolidata tradizione nipponica) richiamano alla mia mente anche un vissuto non poco doloroso della storia del Giappone degli ultimi secoli: essi richiamano in fondo la condizione esistenziale di base di tutto il genere umano, ricordandoci che in fondo siamo tutti nudi e indifesi, fragili  e dopotutto mai pienamente in equilibrio come le figure che via via compaiono di fronte ai nostri occhi nelle sue opere.

Forse nessuna cultura come quella estremo orientale negli ultimi duecento anni ha visto un rivolgimento così drammatico della propria fisionomia: la cultura occidentale e quella americana in particolare sono entrate, mi si permetta il modo di dire, a gamba tesa nella delicata e allo stesso tempo marziale cultura giapponese, affondando il piede in una tradizione raffinatissima e profondamente diversa, a livello sostanziale. Molti artisti hanno raccontato le difficoltà di trovare una propria identità nel connubio tra queste realtà culturali così diverse tra loro, e, secondo il mio modestissimo parere, mi sembra di ritrovare anche nell’opera del maestro Ishida questo dramma esistenziale che vede l’essere umano sempre in bilico tra un’individualità che ha una sua precisa finitezza e la moltitudine dei corpi che si ammassano in città sempre più caotiche e insensate, tra una tradizione che trova nel maestoso e adagio scorrere del tempo la sua cifra essenziale e una modernità che brucia tutto, dalle coscienze ai microchip.

Il Giappone è il paese dei giardini zen e dell’amore per le cose imperfette, è il paese che ama lasciare il legno grezzo e crescere il muschio lentamente sulle pietre,  è il paese della cerimonia del tè e dell’adorazione per i delicatissimi fiori di ciliegio e al contempo è il paese del famoso incrocio di Shibuya, dell’elettronica più all’avanguardia del mondo, dei manga e dei treni che spaccano il secondo: tutto questo sembra riecheggiare nello smarrimento costante che si prova di fronte alle opere del maestro, in cui tradizione e innovazione, in cui passato e futuro conversano fragorosamente.

Egli stesso non a caso ha coniato il termine filosofico yura yura che possiamo tradurre con il verbo all’infinito “ondeggiare” per rappresentare nella sua visione questo continuo ondeggiare, appunto, dell’essere umano tra le vicissitudini della vita e del mondo in cui siamo immersi, una costante incertezza quasi dissociata e dissociante tra le nostre membra di esseri viventi sempre più indifesi da un lato e una tecnologia sempre più perfetta e disumana dall’altro.

Ma anche qui Ishida è saldamente ancorato alla cultura tradizionale del suo paese, è infatti solo di qualche secolo prima la famosa pittura Ukiyo-e che letteralmente significa “pittura del mondo fluttuante”, la quale nasce in seno alle grandi città di Edo, Tokyo e Kyoto a partire dal XVII secolo: essa consiste di stampe che riproducono fondamentalmente i piaceri della vita cittadina, geishe, prostitute, lottatori, attori e così via, non senza scene spesso sessualmente esplicite. Il termine Ukiyo-e, però, ha una curiosa omofonia con una parola buddista che significa “mondo della sofferenza”, come a scimmiottare scherzosamente, allora, la condizione di incertezza e dolore della condizione umana, oggi aspetto tragicomico della vita contemporanea.

Il Giappone è il paese che ha fatto dell’impermanenza un culto raffinatissimo dell’effimero, non inteso in maniera occidentale come il superfluo e il superficiale, ma come consapevolezza profonda della nostra caducità. Questo risulta evidente nel concetto del wabi-sabi estremamente centrale per l’estetica e per la cultura del paese del sol levante e che si può definire come un’ispirata accettazione della bellezza che si estrinseca proprio nel suo essere necessariamente transeunte, imperfetta, e incompleta,  per rubare . Eppure al giorno d’oggi la consapevolezza di questa precaria transitorietà dell’esistenza non è scevra da una connotazione di muto sgomento, tra il culto dell’eterna giovinezza e della chirurgia plastica da un lato e la cognizione angosciosa della nostra finitezza spaziotemporale dall’altro.

La potenza espressiva dell’opera del maestro Ishida nasce a mio modesto avviso dalla fusione di tutto questo, e come i danzatori Butoh, i cui corpi nudi si stagliano faticosamente in pose inconsuete e sconvolgenti, essa ci rimanda un profondo e urgente interrogativo esistenziale, con la forza travolgente di un’arte che ha il dono della vita.

 

批評文、、
critic by  Giorgio Carducci
イタリア語から日本語への翻訳 by yukari kanahara

石田氏の作品について話を頼まれた時、最初に頭に浮かんだのは、その技法、内容、背後にある哲学に対して、彼が日本の芸術の精神をいかに完璧に具現化しているかということでした。彼の作品がいかに生命と不安に満ちているかに気づかないのは不可能です。多くの身体が積み重なり、顔は変形し、主題は非常に肉体的で、また同時に信じられないほど霊的です。しかし、彼の作品の、まさに日本的な姿にしばらくの間留まることは、我々がその作品に没頭する助けになるように思います。この理由から、(平凡な批評にする気はなく)私はこのアーティストと作品をよりよく理解するために重要であると思う、いくつかの点に簡単に触れたいと思います。このために、私達は極東の世界観にしばらくの間自分を落とし込むことになります。 まず第一に、極東人にとって自然とは、単に人がその中に分け入り、人が世界の中心にいるという不均衡な関係で相互作用するものではない、ということを覚えておく必要があるでしょう。極東では、人間は自然の不可欠な部分であり、その内側の繊維の中さえ共有しています -「有機的構造の同一性と本質」(学者のMaria Teresa Lucidiの言葉を引用)。 極東の世界のすべての芸術家は、単に自然に分け入るのではなく、自然と「一体」でありつつ、自然を描いています。使用される素材、主に紙、インク、筆との関係は、特に東洋文化では白黒の絵画であるという点で優れた文化的で精神的な絵画において、本能的であります。芸術家は自身の仕事の道具を持っています
が、西洋のロマン主義ではなく、調和する明確な意思があるわけでもなく、彼らはある種の有機的な連続体の中で自分自身を認識しています.このため、石田氏は、絵画的でまた写真的、電子的なマテリアルと共に、carnale 肉体的とも呼べる関係において(今日、我々の日常生活もこれらの現実から成り立っている)、自国の文化を完全に表現しています。彼自身が、原材料から始まり、すなわち、貴重な(彼の作品のベースとなる)紙に光を与えるであろう植物自体から、非常に長い期間にわたって築いた紙は、材料との調和、そして創造物である生きた道具の必要性をよく表しています。これは、日本の芸術的精神に特有のものです。 中国語のCHI(古代の2つの文化は今日よりもはるかに似ています)からインポートされた日本語の用語、KIがあります。その表意文字(氣)は、それらの間の調和要素、この場合、水、炊事用の火、そして米は、動く何かを生み出します。それは、それ自体が生命の形態であり、実際には蒸気です。この言葉は、「エネルギー物質」つまりすべての自然や生物に浸透する活力として訳すことができます。テクニックを通して何年もの努力を重ねた後、宗教の道にほぼ似ている克己・無私無欲において - 多くの日本の伝統的な画家もまた(驚くことでは無く)、僧侶でした -
芸術家がこのエネルギーを調和し円滑に流すようにすれば、彼は自分の筆や作業道具を使って、それと一つになり、人生を創造する作品へと姿を変えます。これは偉大な芸術家と平凡な芸術家とを区別します。彼の作品には活気のある人生観が溢れています。繰り返しますが、全くに異なる主題とシナリオがありますが、これは、世界の振動、しばしば彼らの叫び声や生命を汲み取る、その例としての石田氏の作品です。 しかし、私は、石田氏は紛れもなく現代的なアーティストと言えると思います。数えきれない身体が集積する凄惨な光景、彼の作品から滲み出るグロテスクな皮肉を混ぜ合わせた苦悩(また、部分的には日本の統一された伝統に根ざしている皮肉)は、過去数世紀における日本の歴史の中の少なからぬ痛みを伴う経験を思い出させます。彼らは人類全体の基本的な実存的条件を思い出し、結局、私たちは皆裸で、無力で、もろく、彼の作品の目の前に現れる姿のように完全にバランスが取れていないことを思い出させます。 おそらく過去200年間の極東のような、その外観に劇的な変化を見た文化はありません。特に西洋とアメリカの文化が入り、それとは異なる、エレガントで、古代の伝統を持ち、規則に基づけられた日本の文化、互いに異なる2つの文化が接触しました。多くの芸術家はこれらの異なる文化的現実の間で、彼ら自身のアイデンティティを見つけることの難しさについて話しています。そして、私の控え目な意見では、石田氏の作品の中で、人間が常にバランスを保っているという日々のドラマを、再び発見するように私には思えます - それ自身の正確な有限性を持っている個性(個人)と、ますます混沌とした、無分別な都市に積み重なる多数の身体との間で。壮大でゆっくりとした時間の経過の中でその本質的な姿を見出す伝統と、意識からマイクロチップまですべてを燃やす現代の間で。 日本は禅の庭園の国であり、不完全なものを好みます。原木を離れて石の上でゆっくりと苔を成長させるのを好む国です。茶道の国であり、非常に繊細な桜の花を愛する国です。それと同時に、世界で最も前衛的な電化製品でも有名で、渋谷の交差点の国であり、マンガと、時間通りの電車が存在する国です。これはすべて、石田氏の作品の前で観る者が感じる絶え間ない戸惑いを反映しているようです。それらは伝統と革新の間で、過去と未来の間で、エコーしているようです。 哲学的用語yura yura(「waving」と訳することができる)は、私たちが暮らしている世界と私たちが浸かっている世界と人間の間の、この絶え間ない揺れを表現するために、彼自身が作りました。一方では無防備であり、他方ではますます完璧で非人道的な技術です。しかし、ここでも石田氏は彼の国の伝統文化にしっかりと根を下ろしています。ほんの数世紀前に17世紀から始まった、江戸、東京、京都の大都市で生まれた文字通り「浮遊世界の絵」を意味する有名な浮世絵。それは基本的に性的に露骨な場面なしではなく、都市生活の楽しさ、芸者、売春婦、力士、俳優などを再現する版画で構成されています。しかし、浮世絵という言葉には、「苦しみの世界」という、今日では現代の生活の悲劇的な側面である不確かさと苦痛の状態を意味する、仏教の言葉を伴う、奇妙な同音異義語も存在します。 日本は、西欧では不必要で表面的なものとして理解されていない、無常性や儚さを非常に洗練された信仰とする国です。これは、日出づる国の土地の美学と文化のためのワビサビの極めて重要な概念として明らかです。そしてそれは、必然的に儚く、不完全で、未完成の状態で正確に表現されている美の受容として定義することができます。
しかし今日では、この不安定で一時的な存在に対する意識は、一方では、永遠の若々しさと整形手術の崇拝、他方で私たちの時空間の窮状についての苦悩した認識との間の、暗黙の狼狽の含意から免れていません。 石田氏の作品の表現力は、これらすべての融合から、私の謙虚な意見を生み出しました。そして、その裸体が未知で衝撃的なポーズで際立って目立つ、舞踏ダンサーのように、生命の賜物を持っている芸術の圧倒的な力と共に、私達に深く、そして切迫した実存的疑問を投げかけます。

 

Giorgio Carducci

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